Disbiosi intestinale: cos’è e quali sono le cause
Sentire parlare di disbiosi intestinale sta diventando qualcosa di talmente comune da sfiorare in molti casi la soglia del banale se non dell’inappropriato, infatti sembra che con fenomeni analoghi a quelli di altri ambiti anche in ambito medico ci siano periodi dove diverse “mode” influenzano marcatamente i pensieri dei sanitari e dopo il turno dello stress psicofisico e quello dello stress ossidativo, sembra essere arrivato il turno della disbiosi, in particolare intestinale.
Ma prima di affrontare questo aspetto, per sommi capi che cos’è una disbiosi?
Con il termine fondamentalmente si identifica (o disbacteriosi) uno squilibrio microbico , squilibrio che può realizzarsi a livello di ogni distretto corporeo occupato da popolazioni batteriche, dalla superficie all’interno del corpo.
Generalmente l’ambito intestinale rimane tra i maggiormente studiati in quanto dati ottenuto dallo studio di popolazioni animali e dallo studio di popolazioni umane mettono in relazione particolari variazioni nella composizione microbica intestinale con fenomeni quali per esempio malattia infiammatoria cronica intestinale (1-2-3), la sindrome da fatica cronica (4), l’obesità (5-6), malattie oncologiche (7-8) e la colite (9) .
Pur essendo ambiti di ricerca molto promettenti e interessanti ancora si rende necessaria però notevole prudenza (per questo in precedenza si parlava di mode) in quanto alcune di queste evidenze scientifiche sono riferite ancora alla sfera della ricerca sull’uomo e/o sull’animale(con tutte le limitazioni che ne conseguono) e non sono ancora disponibili indicazioni cliniche precise su come intervenire.
Per esempio in diversi modelli animali il “trapianto” (inteso come trasferimento) di un campione del microbiota (insieme delle specie batteriche che popolano l’intestino) da soggetto magro a soggetto sovrappeso (e viceversa) è correlato a modificazione delle caratteristiche fisiche del ricevente che tende ad avvicinarsi maggiormente a quelle del donatore, ma questo è stato appunto osservato nel ratto, non è ancora possibile sapere se tali dinamiche si verificheranno (e in che misura) anche nell’uomo, mentre invece per quanto riguarda lo studio delle malattie intestinali sono disponibili diverse indicazioni che permettono quantomeno il miglioramento delle condizioni di vita del paziente.
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Inoltre sussiste un’altra notevole criticità in merito; dato che sembra possibile intervenire sul livello di salute di un soggetto mediante l’intervento sulle popolazioni batteriche che lo caratterizzano (in questo caso intestinali) sarebbe necessario definire quali sono le caratteristiche di un microbiota definibile come “sano” e di conseguenza pianificare interventi opportuni per raggiungere questa condizione.
Al di la di questi approcci di ambito squisitamente medico esistono comunque anche abitudini quotidiane che possono contribuire a modificare considerevolmente la composizione del microbiota quali:
- Dieta inadeguata (sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo) in particolare per quanto riguarda il consumo di fibre (solubili e insolubili) che costituiscono la principale fonte di energia per i batteri che compongono io microbiota, o per lo sbilancio nei nutrienti che potrebbe favorire determinate specie batteriche sfavorendone altre.
- Abuso di alcool: Che quando abusato oltre ad avere effetti nocivi come è noto sull’intero organismo, si dimostra in grado di influenzare negativamente anche i batteri residenti nel nostro intestino
- Terapie antibiotiche: che quando necessarie ovviamente vanno effettuate, ma che dovrebbero integrate con gli opportuni approcci a sostegno del mantenimento/ripristino del microbiota che il medico potrà suggerire caso per caso. Attenzione in questo caso andrebbe fatta anche ai prodotti di origine animale, infatti nell’allevamento intensivo spesso l’utilizzo di antibiotici che potrebbero continuare a contaminare gli alimenti derivati si dimostra essere una concreta realtà, esponendoci magari non a dosi dannose per l’organismo umano in se ma in grado di avere effetti a livello del microbiota. Per questo sarebbe opportuno nel consumo di prodotti di origine animale puntare assolutamente alla qualità, utilizzando prodotti con specifiche garanzie in termini di utilizzo di antibiotici.
Questi piccoli accorgimenti, una volta capita la disbiosi nei suoi aspetti essenziali, possono permetterci di tutelare l’integrità del microbiota intestinale, certi che con un piccolo sforzo possiamo contribuire tutelare questa risorsa così importante per l’organismo.
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- P. Lepage, Leclerc, M. C., Joossens, M., Mondot, S., Blottiere, H. M., Raes, J., Ehrlich, D. e Dore, J., A metagenomic insight into our gut’s microbiome, in Gut, vol. 62, nº 1, 23 aprile 2012, pp. 146–58, DOI:10.1136/gutjnl-2011-301805, PMID 22525886.
- Shaheen E Lakhan e Annette Kirchgessner, Gut inflammation in chronic fatigue syndrome, in Nutrition & Metabolism, vol. 7, 2010, pp. 79, DOI:10.1186/1743-7075-7-79, PMC 2964729, PMID 20939923.
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- Peter J. Turnbaugh, Micah Hamady, Tanya Yatsunenko, Brandi L. Cantarel, Alexis Duncan, Ruth E. Ley, Mitchell L. Sogin, William J. Jones, Bruce A. Roe, Jason P. Affourtit, Michael Egholm, Bernard Henrissat, Andrew C. Heath, Rob Knight, Jeffrey I. Gordon, A core gut microbiome in obese and lean twins, in Nature, vol. 457, nº 7228, 22 gennaio 2009, pp. 480–484, DOI:10.1038/nature07540, ISSN 0028-0836, PMC 2677729, PMID 19043404. URL consultato il 25 marzo 2014.
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